
Marinai per la pelle, mare e odor di pece
L’EPOCA EROICA DELLA VELA
CAPITANI E BASTIMENTI DI GENOVA E DELLA RIVIERA DI PONENTE NEL SECOLO XIX
di Gio Bono Ferrari
Gio Bono Ferrari (2 maggio 1982 – 26 ottobre 1942) è autore di tre libri sulla vita marinara ligure; il più noto è “La città dei mille bianchi velieri Camogli” (1934) che ricorda il grande passato della cittadina e la sua ricchezza costruita sugli oceani ed arenatasi con l’avvento del vapore.
“L’epoca eroica della Vela” è forse il più importante libro italiano di mare: non è un romanzo, non un saggio, non un diario, non una guida, non un elenco di navi (o meglio barchi), di capitani, di marinai, non è un libro di storia, e neanche di geografia, … è tutto questo, ma anche di più.
E’ un libro esagerato. E’ da leggere a sprazzi, si trovano mille spunti per altrettanti libri. Si trova l’intera storia dell’800 vissuta dai paesi liguri e dallo loro gente. Si trovano naufragi, salvataggi, pirati, corsari, guerre, cantieri navali, l’avvento del vapore e della ferrovia, l’emigrazione, e … marinai per la pelle, tanto mare, e odore di pece.
Racconta dei “Navigli della Dominante“, di “marinai per la pelle, mai secondi a nessuno in quel rude mestiere“, di “nobilissimi salvatori di naufraghi”, di “cantieri sulle spiagge di Liguria“, di “un pugno di uomini, che erano stati capaci, con onestà di lavoro e con lungimirante oculatezza, di tessere una fitta e potente rete d’affari che non ha riscontro in alcun altro paese o città“.
E racconta, racconta “…quell’arte marinara che è fatta di mille piccole cose che vanno dalla piombatura dei cavi al governo del timone durante una notte di boriana; dal saper passare svelti dai ”buchi del gatto” o ad arrampicarsi sulle ”crocette”; dal prendere a dovere una mano di terzaruoli o ad indovinare in tempo quando è prudente mettersi alla cappa. E a saper sghindare, col cattivo tempo l’alberetto pericolante.“
“Sul mare, diceva il vecchio Capitan Lavarello, non vi sono le piccole miserie della vita. Quando si è fra cielo e acqua gli uomini si sentono più buoni. E più vicini a Dio. — E si considerano tutti fratelli. Le quisquiglie ed i campanilismi, se mai, si lasciano per quando si è a porto. Ma sugli Oceani, fra mare e cielo, i naviganti erano tutti uno per l’altro senza badare nè a nazionalità nè a religione.“
E raccoglie racconti: ”Si era in Mar Nero, partiti da pochi giorni di Nicolajeff con un carico di grano per Anversa. Mare ringhiante e cielo coperto, quasi nero. Dritta alla nostra prora, laggiù in fondo verso ponente, una striscia di un rosso crudele lasciava indovinare il tramonto di un giorno che era stato scuro come, la notte. Questa sera vi sarà boriana, disse il nostromo fissando la striscia sanguigna. Non aveva ancora finito di parlare che il vento rabbioso, il traditore vento del Mar Nero, ci investì di poppa. Senza, nemmeno uno straccio a riva il barco filò, correndo il temporale, vero piccolo fuscello su un mare di inferno. Poco dopo, nella notte già fonda, lampeggiarono i guizzi delle saette. L’uragano ci era venuto addosso. Pur filando a forse dodici miglia rimaniamo nel centro della tempesta. I fulmini guizzano e serpeggiano attorno al barco, illuminando a giorno la coperta squassata. E tutti pensano e sanno che se una saetta darà nell’alberata, allora sarà la fine. Il Capitano, aggrappato al ponte, scruta in avanti e par che annusi qualche cosa. D’un tratto lancia un ordine secco, che non afferro. Ma il vecchio nostromo, che forse attendeva quell’ordine e che lo desiderava, si avvia barcollando sotto lo scrosciare dell’acqua e compare quasi subito con un esile oggetto bianco che si piega al vento.
Una voce rude e secca ordina: Alza! E allora, sotto la bufera che sembra farsi ancor più ringhiante, la campana di bordo suona tre volte, mentre sull’albero di mezzana sale lentamente, dalla sagola che si gonfia ad arco, la palma benedetta che stava nella camera di comando, sotto il quadretto di Sant’Erasmo. Il Capitano, il nostromo ed i marinai si segnano, mentre una voce spezzata ripete ancora una volta l’antichissima invocazione degli avi e dei trisavi di Liguria: ”San Bernardu e San Scimun, aguardéne da-u lampu e da-u trùn”. I fulmini non spesseggiano più come prima. E il brigantino granario, il ”Tre Fratelli”, corre ancora in poppa l’uragano, con a riva la palma benedetta ed i brani della bandiera sarda che non si ammainava mai…
Gio Bono Ferrari racchiude in se, in una sola vita, il vissuto generazionale di milioni di italiani tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. L’emigrazione estrema, la volontà di affermazione personale, la ricerca dell’impresa economica, i conti con la guerra, la solidità dei valori familiari, la cura degli affetti, i lutti sempre incombenti.
Gio Bono Ferrari, fu migrante in Argentina, lavorò come impiegato in una Casa di Commercio nel Chaco, in una zona rurale, ostile. Fu soldato nella Prima guerra mondiale e poi, fino alla morte lavorò come perito nel settore agricolo e dedicandosi alla scrittura di libri di storia marinara.
Il Museo Marinaro di Camogli, ideato e fondato dal camogliese Gio Bono Ferrari nel 1937, è intitolato al suo Fondatore, autore della Trilogia della vela, famoso cultore e studioso della Storia della Marina Velica Ligure e Camogliese in particolare.

Immagine: ex-voto di anonimo

