Viaggi

La strada

Jack London

“Essere nato proletario ed essere venuto su dagli abissi”.

La vita dello scrittore John Griffith Chaney (1876-1916), in arte Jack London, fu degna dei suoi romanzi. Un’esistenza letteraria, nel vero senso del termine, rocambolesca e tormentata.

Di tanto in tanto, su giornali, riviste e dizionari biografici, mi imbatto in schizzi della mia vita, dove, con delicatezza, apprendo che divenni un vagabondo per studiare sociologia. Questo è molto gentile e premuroso da parte dei biografi, ma è inaccurato. Divenni un vagabondo — beh, a causa della vita che era in me, della voglia di vagabondare nel mio sangue che non mi dava pace. La sociologia fu meramente incidentale; venne dopo, allo stesso modo in cui una pelle bagnata segue una nuotata. Andai “Sulla Strada” perché non potevo starne lontano; perché non avevo il prezzo del biglietto ferroviario nei miei jeans; perché ero fatto in modo tale da non poter lavorare tutta la vita su “un solo turno”; perché — beh, solo perché era più facile che non farlo.

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Anche questo è un viaggio. E’ il viaggio di un hobo (vagabondo). Dove Jack London racconta in una serie di vivaci schizzi le sue esperienze da giovane vagabondo che ha vagato per gli Stati Uniti e il Canada sui treni merci per più di un anno, scritto in gran parte nel gergo dell’esercito di vagabondi giovani e vecchi che erano un aspetto così evidente della scena sociale americana dell’epoca.

La strada: nove capitoli -pubblicati su Cosmopolitan tra il 1906 e il 1907- di una saga a cui il padre di capolavori come “Zanna Bianca” e “Martin Eden” dava il nome di “vagabonlandia”. Fedele al pensiero di un autore dallo spirito ribelle e dalla biografia a dir poco avventurosa, “La strada” non è soltanto il libro che anticipa di mezzo secolo “On the Road” di Kerouac ma con il passare del tempo, alimenterà anche la poetica di scrittori come Steinbeck e Orwell.

London descrive la vita dell’hobo (vagabondo): come saltare su un treno merci in movimento, come evitare di essere catturato dalla polizia ferroviaria, come guadagnarsi da vivere mendicando e raccontando storie. Riflette anche sul sistema di giustizia che opprime i vagabondi. Racconta di essere stato arrestato ingiustamente e costretto, minorenne, a passare 90 giorni in prigione, un’esperienza che mette in luce le crudeltà e le ingiustizie del sistema legale dell’epoca. La narrazione offre un’analisi critica della società americana, evidenziando come i vagabondi siano trattati come criminali per il semplice fatto di chiamarsi fuori dalle norme sociali.

Un libro duro, profondamente maschile, ribelle, amorale, irrispettoso, con una prosa vivace, ironica al limite della volutamente provocatoria strafottenza, che alterna introspezione e humor ma al fondo dolce e comunque profondamente amante della libertà, della vita e dei diritti dell’uomo e della donna perché, diceva London, “preferisco vivere“:

La frustata era finita, e la donna, non urlando più, tornò al suo posto nel carro. Né le altre donne andarono da lei — proprio in quel momento. Avevano paura. (…) A volte ho sostenuto (scherzosamente, così credevano i miei ascoltatori) che il tratto distintivo principale tra l’uomo e gli altri animali è che 𝐥’𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐞̀ 𝐥’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐚𝐧𝐢𝐦𝐚𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐚𝐥𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐚 𝐥𝐞 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐞 È qualcosa di cui nessun lupo né codardo coyote è mai colpevole. È qualcosa che nemmeno il cane, degenerato dalla domesticazione, farà. Il cane conserva ancora l’istinto selvaggio in questa materia, mentre l’uomo ha perso la maggior parte dei suoi istinti selvaggi — almeno, la maggior parte di quelli buoni. (…)

“…eri un vagabondo reale, e il tuo compagno era il “vento che vaga per il mondo”. Mi tolgo il cappello davanti a te. Eri “fatto di pasta buona” davvero….”

Immagini: Jack London a 30 anni e fotografie da Hobo Culture in Alabama – Encyclopedia of Alabama



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