Biografie,  Viaggi

Lettere di Jean-Arthur Rimbaud

— Egitto, Arabia, Etiopia —

Un altro modo, o un’altra ragione, per viaggiare: la fuga o, se vogliamo, l’immersione in altre distanti e faticose realtà.

La fuga di Rimbaud è stata in realtà una parte importante della sua vita e ha contribuito a plasmare la sua personalità e la sua opera. La sua ricerca di libertà e di evasione dalla realtà lo ha portato a vivere una vita avventurosa e a creare alcune delle poesie più innovative e influenti della storia della letteratura.

«Ma journée est faite;
je quitte l’Europe.
L’air marin brûlera mes poumons,
les climats perdus me tanneront.»
«La mia giornata è finita;
abbandono l’Europa.
L’aria marina mi brucerà i polmoni,
i climi sperduti mi abbronzeranno.»
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Le lettere che presentiamo, pubblicate nel 1899 nell’edizione da noi tradotta, testimoniano l’ultima parte della breve vita di Rimbaud: la fuga dalla poesia. Dopo aver scritto alcune delle sue opere più famose, come “Une saison en enfer” e “Illuminations“, decise di abbandonare la poesia per dedicarsi ad altre attività. Diventerà mercante di tutto, anche di armi; ma sarà una vita difficile, solitaria, faticosa, che lo consumò nel fisico e nell’animo e che lo porterà in pochi anni a morire dopo l’amputazione di un arto. Nei deserti deserti di Aden, in Egitto, in Etiopia, guidando carovane per il trasporto di merci con i cammelli, aprendo empori, facendo il contabile ed il mercante, guadagnando ma poi perdendo franchi che voleva accumulare per sistemarsi e sposarsi (illusione di una normalità per lui impossibile).

Poeta maledetto, Arthur Rimbaud (1854-1891) che fece a pezzi tutte le convenzioni sociali e letterarie di un’epoca — tardo ‘800 — ricca di fervore culturale e rivolgimenti politici. Anima irrequieta e sovversiva, che denigrò il perbenismo del suo paese natale, scappò di casa, attaccò Stato e istituzioni, indignò la borghesia, sbeffeggiò la religione, sconfessò la morale, instaurò una relazione scandalosa col poeta Verlaine, finì in carcere, ripudiò i canoni formali della poesia, partecipò forse alla Comune parigina, e vagabondò per mezza Europa e che poi abbandonò la letteratura per questo suo viaggio, per questa sua fuga.

Morì a 37 anni, ma già all’età di 30 anni scriveva: “La mia vita qui è quindi un terribile incubo. Non immaginatevi che me la passi bene. Lungi da ciò. Ho sempre visto che è impossibile vivere più penosamente di me. (…) Scusatemi se vi racconto i miei problemi. Ma vedo che sto per compiere 30 anni (la metà della vita!) e mi sono molto stancato a girare il mondo, senza risultati. (…) Quanto a me, sono condannato a vivere ancora a lungo, forse per sempre, in questi dintorni, dove sono conosciuto ormai, dove ho potuto rendere alcuni servizi e dove troverò sempre lavoro; — mentre in Francia sarei uno straniero e non troverei nulla.”

Questa raccolta di lettere è della fine dell’800, ed è un documento emozionante sia dal punto di vista umano, che storico. Non ha invece alcuna pretesa letteraria: Rimbaud aveva rinunciato alla sua poesia in prosa, ma emozioni profonde sprigionano dalle sue scarne parole di brevi lettere.

Perché il viaggio è anche fuga, e comunque la fuga diventa un diverso viaggio in un mondo che non ci da mai le risposte che cerchiamo. Perché le domande ce le portiamo dentro anche quando attraversiamo deserti, navighiamo mari, scaliamo montagne o voliamo nei cieli. Il nostro viaggio è un viaggio interiore e solitario nel nostro stesso animo (o anima, o cuore o cervello, vedete voi).

Immagini:
– Arthur Rimbaud – foto di Étienne Carjat (dicembre 1871)
– L’immagine a colori e la copertina sono state costruite con un programma di intelligenza artificiale a partire dalla foto di Rimbaud

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