
Il mio diario artico
un anno tra campi di ghiaccio ed eschimesi
di Josephine Diebitsch-Peary
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Un diario di una donna avventurosa nell’Artico; capitoli brevi e rapidi nel racconto di un’esperienza unica vissuta insieme ad un gruppo di esploratori e ad alcune famiglie di eschimesi nei diversi momenti di un lungo anno. Un diario raccontato da una donna coraggiosa e poliedrica, con partecipazione, curiosità e rispetto di un mondo pressoché sconosciuto e così lontano da tutto. Fu la prima a descrivere la cultura Inuit.
Nel 1891 Josephine Diebitsch Peary (1863-1955) decise di accompagnare il marito Robert Edwin Peary (1856-1920) nel viaggio che quest’ultimo sognava di fare in Groenlandia. Lo scopo della spedizione era di scoprire se si trattasse di un’isola o fosse una penisola del Polo nord. Peary era infatti riuscito ad ottenere l’appoggio finanziario dell’American Geographical Society, dell’Academy of Natural Sciences di Filadelfia e di alcuni privati per organizzare una spedizione nel nord della Groenlandia.
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Fu un periodo particolarmente ricco di avventure e Josephine Peary trascrisse la sua esperienza nel libro intitolato “Il mio diario artico: un anno nei campi di ghiaccio e tra gli Esquimesi” (My Arctic journal: a year among ice-fields and Eskimos) che fu però pubblicato solo nel 1894 e mai tradotto in italiano prima di questa pubblicazione di OttoVenti.
Gli editori di allora, 1894, scrivevano: La sig.ra Peary “racconta le sue esperienze di un intero anno trascorso sulle rive della Baia di McCormick, a metà strada tra il Circolo Polare Artico e il Polo Nord. Gli eschimesi con cui entrò in contatto appartengono a una piccola tribù di circa trecentocinquanta individui, completamente isolati dal resto del mondo. Sono separati da centinaia di miglia dai loro vicini più prossimi, con i quali non hanno alcun rapporto. Queste persone non avevano mai visto una donna bianca, e alcune di loro non avevano mai visto un essere civilizzato. Le opportunità che la signora Peary ebbe di osservare i loro costumi e il loro modo di vivere le hanno permesso di dare un prezioso contributo alla conoscenza etnologica.“
Ed il marito, l’esploratore Robert Edwin Peary raccontava “Raramente, se non mai, riprendo il filo delle nostre esperienze artiche senza tornare a due immagini: una è la prima notte che abbiamo trascorso sulla costa della Groenlandia dopo la partenza del Kite, quando, in una piccola tenda sugli scogli – una tenda che il vento furioso minacciava di portar via di peso a ogni istante – lei mi osservava al mio fianco mentre giacevo come un indifeso storpio con una gamba rotta, il nostro piccolo gruppo gli unici esseri umani su quella riva, e il piccolo Kite, da cui eravamo sbarcati, vagava lontano tra i ghiacci a causa della tempesta, invisibile attraverso la pioggia. Molto tempo dopo mi raccontò che ogni insolito rumore del vento le faceva battere il cuore al pensiero di un orso affamato che vagava lungo la riva e che era attratto dall’insolita vista della tenda; eppure non diede mai segno in quel momento dei suoi timori, per paura che potesse disturbarmi.”

Non penso esista un altro libro come questo: semplice, ingenuo, profondo, nuovo, originale, e con una sensibilità femminile pressoché sempre assente dai resoconti delle esplorazioni artiche.
Buona lettura
PS: prossimamente pubblicheremo The Snow Baby:
Josephine tornò nell’Artico nel 1893, incinta di otto mesi. Sia lei che Robert furono pubblicamente criticati per quella che giornalisti e medici considerarono una totale mancanza di capacità genitoriali. La figlia, Marie Ahnighito Peary, nacque a pochi gradi dal Polo Nord. Il suo secondo nome rende omaggio alla donna Inuit che cucì il suo primo abito di pelliccia. Per mettere a tacere le critiche, Josephine scrisse un secondo libro, “The Snow Baby” , sulla maternità nel Circolo Polare Artico.
Immagini: Ritratto fotografico di Josephine Diebitsch-Peary del 1892 e in barca nell’artico con Robert Edwin Peary nel 1891
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